Meloni e Orban: un apostrofo rosa tra le parole “ti armo”

L'incontro a Roma
Con l’Europa Roma, contro l’Europa Budapest. Eppure i comunicati di palazzo Chigi palpitano di gioia: al centro il comune interesse per il programma Safe destinato alla difesa
L’incontro con il Pontefice, lunedì scorso, era stato “cordiale”. Quello di ieri con Salvini addirittura “affettuoso”. Palazzo Chigi, dopo il colloquio tra un Orbàn fresco di visita in Vaticano e Giorgia Meloni, aveva preferito sorvolare sugli attributi limitandosi a elencare gli argomenti trattati nel “colloquio”. Ma in realtà anche Salvini, il più orbaniano del bigoncio, al termine dell’affettuoso conciliabolo è stato insolitamente discreto. Ha esaltato la comune critica “al Green Deal e alle politiche suicide della Ue” e in materia l’ungherese era stato prodigo, distribuendo attacchi durissimi alla Ue con chiunque avesse voglia di ascoltarlo. Ha sottolineato la “massima sintonia” sul fronte dell’immigrazione e non è che l’armoniosa concordanza stupisca chicchessia. Ma sul tema nevralgico e ad alto rischio, l’Ucraina, persino il leghista ha scelto una inusuale discrezione.
Lo stesso Orbàn, alla vigilia del tour, aveva assicurato che “il piatto forte” dell’incontro con la premier sarebbe stato l’economia. Non per disinteresse nei confronti della guerra ucraina ma perché “l’Europa è completamente fuori dai giochi” avendo rinunciato ad avere alcun ruolo. In realtà è più che probabile che invece soprattutto di Ucraina si sia parlato sia nel colloquio di palazzo Chigi che in quello con Salvini e lo stesso silenzio fatto calare sullo spinoso argomento in realtà lo conferma. Sulla carta le posizioni di partenza, almeno per quanto riguarda la premier, non potevano essere più distanti. Orbàn ripete a ruota libera che le sanzioni sono un errore e che medita anzi di convincere Trump a non fare ancora quello sbaglio. Giorgia è schierata sulla linea europea, diametralmente opposta: solo con maggiore pressione, dunque con nuove sanzioni, si costringerà Putin a trattare.
In realtà le posizioni sono un po’ meno distanti. Sia l’ungherese che l’italiana ammettono, a porte chiuse, che le sanzioni sin qui non sono servite a niente. La sola misura che abbia fatto male allo zar è stato il limite cinese sull’acquisto di gas russo. Dunque, implicitamente, entrambi ritengono che da quella parte si debba guardare: sull’accordo Trump-Xi, se ci si arriverà davvero, che potrebbe spingere Xi Jinping a esercitare pressioni molto più incisive di quelle europee. Ma detto questo la linea europea resta e bisogna trattare con Orbàn perché eviti comunque di fermare tutto con il veto, sul cui mantenimento peraltro Meloni e il premier di Bruxelles sono del tutto d’accordo e anche di questo Meloni, che già una volta è riuscita a convincere Orbàn a non mettersi di mezzo, ha parlato con l’ospite. Illustrando i vantaggi che gliene potrebbero venire “su altri dossier”, ovvero iniziando a parlare del prezzo dell’eventuale veto mancato.
Salvini, si sa, la pensa più come Orbàn che come Giorgia. Ma neanche lui ha azzardato dichiarazioni imbarazzanti e quel che i due si sono detti in privato è rimasto segreto. La chiave di questa “concordia nella discordia” che tiene insieme le posizioni opposte di Giorgia da un lato e di Orbàn, ma anche di Salvini, dall’altro, si chiama Donald Trump. Con il leader a cui tutti e tre fanno riferimento impegnato in una delicata trattativa diplomatica nessuno dei tre aveva intenzione di disturbare il manovratore. Di economia, peraltro, si è parlato davvero e in questo caso con vera e piena concordanza. Si tratta di “rilanciare la competitività” dell’Europa in genere e dei due Paesi governati dalla destra in particolare. Per tutti e tre significa prima di tutto liberarsi dal Green Deal. Non ne fanno mistero e ritengono di essere già vicini all’andare a dama.
In più c’è il riarmo, e la difesa in genere, che nei progetti della stessa Commissione europea dovrebbero tirare il rilancio industriale. Ci vogliono progetti condivisi da almeno due Paesi per ottenere i finanziamenti europei del programma Safe a condizioni molto agevolate. Italia e Ungheria da sole basterebbero a giustificare la richiesta. In condizioni simili, con una vicinanza ideologica marcata, un leader mondiale come Trump in comune, obiettivi identici sui fronti dell’immigrazione e del Green Deal, il profumo di un buon affare che solletica tutti, ci si può stupire se sulla distinzione pur profonda in materia di Ucraina nessuno si è formalizzato troppo?
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